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           Vittoria Mazzoli

 

           Vittoria Mazzoli (a destra) e Rossella

           Piergallini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nasce dalla lettura delle opere di Augusto Piccioni e in particolare dalla sua ultima produzione "Paesaggio con casa ed albero" (1987) la profonda consapevolezza di trovarsi di fronte ad un'operazione artistica che si definisce e si spiega come "opera aperta". (Il bel termine inglese "work in progress" è quanto mai chiarificatore a questo proposito).

Come in un processo fotografico, il negativo dell'immagine fa emergere per contrasto le parti piene, così nell'opera di Piccioni ritroviamo questo alternarsi di zone chiaro/scuro. pieno/vuoto. All'interno di un territorio psicologico cha è "waste land", queste forme architettoniche creano una sorta di riconciliazioni tra "l'homo tecnologicus" e l'ambiente da esso generato. Non più natura snaturata ma inserita in una visione ciclica del divenire. dove tempo storico e tempo mitico trovano la loro ragione in un realismo cha attinga direttamente alla dirompente carica d'energia dell'elemento naturale.

L'immagine pittorica, superando la forme di rappresentazione spaziale si trasforma da una ideazione piana a segno volumetrico di grande intensità emozionale. In questo caso si potrebbe dire che la geometria a la architettura di Piccioni creano una magia che funziona nel senso che il fruitore è in grado di percepirle sia come referente di se stessa che come "immanenza" referenziabile e dilatabile verso altre forme. Esiste quindi in questo spazio aperto costituito da oggetti che rappresentano forme stabili, il complementare di questo reale che estende la dimensiona dal percettibile. Ognuna delle opere "Paesaggio con casa ad albero" può essere letta come unità concettuali e nello stesso tempo nella molteplicità costante della sua lettura si moltiplica. Ma la proprietà interessante di queste immagini è, a mio avviso, che ogni lettura non è più forte dall'altra. cosicché esse sono sempre in divenire dall'una all'altra fine a creare uno spessore ideala di scambio mentale tra l'artista a il destinatario ipotetico dell'opera d'erta. Proviamo a pensare una "casa" ad un "albero" scomponibili in cubi, parallelepipedi, cilindri a sfere, così facendo li ridurremo all'idea di casa ad albero, ma se teniamo presante che ogni figura dello spazio non è che il risultato dall'intersezione da parte di un piano di qualche figura corrispondente di una dimensione in più, come un quadrato è tagliato da un cubo o un cerchio da una sfera; così le tre dimensioni che l'uomo conosce sono tagliate da una quarta che è quella dell'immaginazione, dalle ipotesi. del sogno, o meglio in questo caso di sogno d'artista.

 

                                                                                                                                  Vittoria Mazzoli

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«Segno» » (Pescara), n. 74, aprile 1988 - Recensione della mostra al Centro d'Arte "L'Idioma" di Ascoli Piceno

 

 

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Architetture Passionali

 

Guardando i lavori di Augusto Piccioni, lo spazio invaso dall'artista diventa esso stesso uno dei protagonisti principali dell'opera. La superficie neutra della parete si anima dei corpi sagomati creati dall'artista, che apparentemente frammentari si ricongiungono fino a ricomporre I'immagine dell'opera. Come in un puzzle, l'incastro dei pezzi si delinea parallelamente alla figura. L'artista marchigiano che appartiene al gruppo Immanentista, segnala in questa sua ultima produzione dal titolo "Paesaggio con casa ed albero", una ricerca artistica successiva mantenendosi tuttavia all'interno delle sue coordinate tematiche. Intatti l'elemento naturalistico viene vissuto (come memoria individuale) e riequilibrato (a livello emotivo) attraverso l'uso di un segno passionale e deciso, che sviluppa gli oggetti in senso, volumetrico nello spazio pittorico. L'opera di Augusto Piccioni si qualifica così come pittura aperta (il bel termine inglese work in progress rende ancora meglio forse questa caratteristica). Essa esce dai confini del quadro stesso, per invadere e stimolare il nostro immaginario, agisce come dice Nicoletta Hristodorescu in uno spazio "... più rivolto alla rappresentazione ptastico-volumetrlca e figurale delI'ambiente contingente".

I 'artista lascia quindi la possibilità o la scelta all'osservatore di ritrovare i contorni della "casa"  e dell'"albero" in questa ricreazione di vuoto/pieno, di positivo/negativo, sempre comunque ampliando gli orizzonti della tela e guardando oltre i limiti na­turali.

                                                                                                                                                                        Vittoria Mazzoli

      

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«Derive Sintetiche» » (Bologna), n. 8 - primavera 1988

 

 

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La prima impressione che si ha osservando le opere di Augu­sto Piccioni, presentate alla Galleria Cicconi, è quella di trovarsi di fronte ad un'impronta dell'immagine-pittorica polarizzata da un colore fortemente esplosivo. La pittura di Piccioni, forte nel gesto e dai colori caldi della terra e del fuoco, vuole essere un'affer­mazione di mondi ben determina­ti ed è esemplare del rapporto plastico-tridimensionale tra le forme «immanenti» che emergono dalle opere. Ogni opera si esprime in forme costruite fra vuoto e pieno (di cui lo sfondo bianco del­la parete diventa parallelamente una base ambigua ed intrigante agli occhi dell'osservatore) alle quali l'artista imprime una energi­ca carica cromatica. Questo colore si apre al dato di natura e ne segna uno dei nuclei centrali del­l'opera dilatandosi verso figure dai contorni aperti. I lavori dell'ar­tista appaiono come frammenti congiunti di un puzzle, che ci rimanda ad un'immagine iper-ri­prodotta in un crescendo di spes­sore concettuale.  A mio a mio parere, la cifra di questi lavori risiede nella calibrata composizione di questi spazi in un tutto organico.

                                                                                               Vittoria Mazzoli

 

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«Juliet» (Trieste), n. 37, giugno 1988 - Recensione della mostra presso la Galleria Cicconi di Macerata

 

 

 
 

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AUGUSTO   PICCIONI