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UMBRAE

Sono ombre, sebbene colorate, quelle che attraversano, con un fare fuggevole, queste tavole boschive, dove si vengono ad incontrare fantasiosi amanti, colti in passo di danza, oppure sorpresi da incauta visita; il tutto in un clima di fabulazione che si contende la fantasmaticità della Pop Art e l’articolarsi di un certo astrattismo dalle luci fluide e saettanti, che attraversano le maculate ed irregolari superfici pittoriche, rendendole come ritagli di capitoli narrativi, i quali rimangono come inevitabili e necessari sottofondi, in cui i turbamenti dell’eros sono scambiati come giochi di specchi, che spesso tagliano in due le immagini farcendole come sacche dal contenuto dissociato, alterato da una incomunicabilità silente, mimetica, numerica (alla maniera di Renato  Mambor).

Anche se qui (nell’opera di Augusto Piccioni), l’orizzonte è diverso, dotato di una sua personalissima cifra e ciò che è se parato dalla realtà è unito ad una retroscenità che proprio la laminare piattezza della rappresentazione consegna ad una aurorale qualità narrativa, anche se decisa da un comporsi e scomporsi del linguaggio pittorico, sempre oscillante fra un dare corpo e un negarlo. Una accattivante seduzione, insomma, in una atmosfera diffusa di barocchismo essiccato, ma resistente al suo intento totalitario di farsi opera e di erigersi ad altro dall’essere proiezione di urto, per essere soggetto in proprio.

Francesco Gallo Mazzeo

Data 2016

 

 
 

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AUGUSTO   PICCIONI