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         Maria F. Civita e Isabella Monti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ultima produzione di Augusto Piccioni si è sviluppata, in un breve periodo di lavoro, con notevole intensità. Nell'ambito di una ricerca figurale-astratta la sua espressività si è arricchita di un linguaggio complesso che coinvolge lo spettatore e lo fa partecipe del momento creativo.

L'artista è consapevole che non è possibile formarsi un'esperienza e una conoscenza adeguate della realtà solo attraverso la contemplazione e la passività delle sensazioni. E' indispensabile, invece, fare appello all'azione: occorre "percepire", prendere attivamente possesso del mondo sensibile.

Quando osserviamo un paesaggio lo sguardo è diretto alla linea d'orizzonte che ci stimola alla valutazione della profondità: l'immagine è il risultato della ricezione delle informazioni retiniche, che imprimono le forme e i contorni, e le informazioni cinetiche originate dalla convergenza dell'occhio per mettere a fuoco l'oggetto.

Piccioni utilizza questa conoscenza per stabilire un personale rapporto con la natura. Le sue tavole sagomate, che disegnano perimetralmente la sagoma di un albero o di una casa, sono solo una parte del paesaggio che l'occhio umano è in grado di percepire, il resto è lasciato all'immaginazione dell'osservatore. Sta a quest'ultimo "ricostruire" l'opera a sua dimensione, inventare quella casa di cui si vedono solo i contorni oppure quell'albero di cui si conosce solo la forma della chioma.

In un tipo di operazione come questa, dunque, è molto importante la funzione della parete, che diventa oggetto dell'opera (invertendo il rapporto naturale che la vede solo come supporto). In sé l'opera materiale, il legno sagomato, è fortemente cromatizzato, è senza confini; non ha un perimetro materiale. Al contrario puntualizza l'attenzione sul "fuoco" della veduta panoramica, guida l'occhio dell'osservatore alla immediatezza di un paesaggio lontano, dai colori forti ed istintivi, ma poi lo costringe a completare il quadro nelle sue parti volutamente mancanti.

A questo punto l'opera non "racconta se stessa" a chi la guarda e non "vive di vita propria" ma instaura un rapporto di interdipendenza sia col supporto murale che con l'osservatore.

 

                                                                                                                                      Isabella Monti

 

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Nei paesaggi di Augusto Piccioni é possibile rintracciare quel concetto di per sé astratto e nebuloso, di natura, la cui portata va ben oltre il criterio semplicistico della rappre­sentazione; si può parlare di paesaggi ideali, risultato di una trasfigurazione degli elementi naturalistici. L'artista scavalca il dato visivo superficiale ed interpreta il paesaggio facendo pas­sare le cose attraverso una rete che ne scompone la forma, ne trae l'essenza e ne rende l'emozione con il colore. Risultano delle vedute che sono il frutto di una sintesi tra sentimento e immaginazione ed hanno il valore di una rivelazione psicografica della realtà.

Coerente con la sua vocazione pittorica che include valori eterogenei (natura e storia, realtà e immaginazione, astrazio­ne e figurazione), con queste ultime opere Augusto Piccioni compone concettualismo ed espressione in una sintesi particolarmente feconda. Consapevole che la conoscenza e l'esperienza del mondo passano attraverso la percezione, quindi anche attraverso una attiva presa di coscienza, l'artista costruisce la sua pittura sul duplice piano della rappresentazione e della "ricostruzione", inducendo l'osservatore a compiere lo stesso percorso visivo che realizzerebbe davanti ad una veduta reale. Le tavole sagomate ritagliano otticamente i con­torni di una casa o di un albero e rendono partecipe lo sfondo della costruzione pittorica. La coesistenza di vuoto e pieno, di assenza e presenza, sollecitano una particolare interpretazione della informazione sensoriale.

L'occhio é molto sensibile alla discontinuità del contorno, tendiamo perciò ad organizzare la nostra percezione in modo tale che i contorni vengono visti come se fossero il margine di una sola superficie, proiettiamo lo sguardo in "chiusura" e siamo inclini a fare di una zona una figura. Augusto Piccioni impone un procedimento inverso: attraverso una attenta composizione architettonica e formale guida l'osservatore ad un percorso visivo di espansione multidirezionale, secondo una progressione logica.

La topografia materica centrale invita ad una proiezione in lontananza: la prospettiva aerea apre lo sguardo alla profondi­tà, allarga gli orizzonti celebrando la libertà della natura con una tavola cromatica di colori puri, dalle tonalità decise, e con un tratto che non segue un ordine estetico codificato ma un ordine tutto interiore. L'opera, tuttavia, continua se stessa in superficie, le sagome della casa e dell'albero non essendo altro che il confine tra il paesaggio reale, determinato dall'esperienza sensibile (frutto dell'essere nella storia) ed il paesaggio virtuale che ciascuno di noi é invitato a "ricostruire" con una operazione senza limiti spaziali, come una "risposta riflessa" alla centralità della figura. L'immagine arrestata del paesaggio acquista così la veridicità di una immagine reale: l'osservatore é costretto a mobilitare la proiezione e ad aggiun­gere, in base alla sua esperienza, ciò che non é presente.

Con questa sintesi formale di vuoto e di pieno pittorico Augusto Piccioni altera il rapporto assenza presenza richiamando proprio negli spazi vuoti immagini super riprodotte che pongono la realtà sensibile di fronte al pensiero e fanno di queste tavole opere di alto spessore concettuale.

 

                                                                                                                                        Isabella Monti

 

 

 
 

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AUGUSTO   PICCIONI