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          Laura Monaldi

 

          Mostra Sala Fazzini

          Comune di Ripatransone (AP) 1997

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

          Catalogo mostra Galleria Sumithra

          Ravenna (1995)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AUGUSTO PICCIONI

 

...e, nel centro, l'albero

 

 

Seguendo l'evoluzione di Augusto Piccioni si può vedere il progressivo procedere verso una matura decantazione dell'irruenza informale e gestuale in composti giochi prospettici. La tendenza ad ampliare l'orizzonte visivo oltre i limiti tradizionali del supporto in legno porta ad una riconsiderazione sistematica del problema della percezione. Il gesto artistico non è più solo immagine lirico-soggettiva di segni e colori, ma si carica di ambivalenze nei significati oltre che nelle forme. L'oggetto rappresentato non si riconosce più nei suoi dati immediati, ma deve essere ricostruito seguendo un percorso che dall'occhio porta al pensiero. Si procede per contrapposizione e le forme si riconoscono nell' autoevidenziazione in negativo. Ciò che è unico e distinto risulta privo di consistenza materica e prende sembianza solo nello sfondo indistinto e vago di colore e materia. L'ambiguità di significati e significanti si evidenza anche nella decisa concentrazione simbolica che fa dell' "albero" l'emblema di base, punto focale di tutti i lavori. L'albero è il riferimento, il centro attorno al quale ruotano tutte le cose, è la chiave interpretativa del racconto metaforico narrato dall'artista. Animali e figure umane acquistano di conseguenza altrettanta valenza di emblemi. E' la storia semplice dell'essere umano che vaga debole e indifeso nella natura e ha bisogno di riferimenti di protezione, anche se si rivelano vuoti e fallaci. Tutta l'opera di Piccioni è un richiamo alla semplicità e alla spontaneità, un invito a privarsi degli stereotipi per andare direttamente alle cose in se stesse. Concretezza e chiarezza che si rispecchiano anche nel modo stesso del suo fare arte. L'artista ha piacere di plasmare la materia e di riversarvi tutta la sua energia operativa. In questo senso grande importanza hanno le "ombre" che, se pur difficili da realizzare, ben esprimono il senso artigiano di questi lavori.

 

                                                                                                                          Laura Monaldi

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Presentazione in catalogo per la mostra presso la "Sala Fazzini" Comune di Ripatransone (1997).

 

 

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L'albero custode

 

Come il susseguirsi dei fotogrammi di una pellicola di un film, l'arte di Augusto Piccioni ha seguito una lineare evoluzione ed ha raggiunto per gradi la propria naturale compiutezza. Neppure l'inevitabile erosione del quotidiano è riuscita a scalfire la sua serena comunicatività, che anzi si è avvalsa dell'esperienza per porre ancor più fiducia nel valore dei sentimenti rispetto all'aridità delle necessità e alla coercizione dei doveri. La prorompente irruenza espressiva dei primi lavori informali si è progressivamente concettualizzata in un divertissemant percettivo, imperniato sull'ambivalenza tra vuoto e pieno e sulla complementarità delle forme ed ora le sue ultime opere non possono più fare a meno del distacco concettuale per trovare la giusta dimensione propositiva. Inizialmente il quadro era considerato il medium per oltrepassare i limiti empirici del dato oggettivo mal tollerati da una straripante soggettività. L'artista sentiva il bisogno di rompere lo spazio asfittico del quadro per espandersi nella realtà circostante. La sagomatura del supporto in legno secondo i contorni degli oggetti rappresentati è stata elaborata per uscire fuori dagli oggetti stessi e dilatare il campo percettivo. La parete veniva a far parte dell'opera, instaurando con ciò che era dipinto un rapporto di compensazione. Da una ricezione passiva si passa ad una partecipazione diretta dello spettatore che con una ricostruzione mentale termina il processo creativo messo in atto dall'artista. Tutto ciò ha innescato un meccanismo di interscambio che ha portato il lavoro di Piccioni ad una mutazione autogenerantesi. Alla ricerca analitico-formale si è sovrapposta una plurivalenza semantica scaturita dai referenti stessi. Inseriti come chiavi interpretative del nuovo codice strutturale, l'albero e le figure animali hanno acquistato valore di simboli, in un gioco emblematico di scambio di ruoli che si definiscono al negativo o per mediata significazione. Non a caso sono stati scelti la volpe, il lupo e il cinghiale, animali vessati o in via di estinzione che richiedono rispetto e protezione. Nella loro violenza espressiva sono indifesi e vulnerabili così che hanno bisogno di nascondersi dietro il riparo offerto dall'albero. Un albero che sembra non esserci e si evidenzia solo con la netta presenza della figura animale, a sua volta riqualificata nella sua decisa essenzialità dal vuoto creato dall'albero. Nello slancio dell'azione compiuta dagli animali si esprime la forza e la veemenza dell'istinto puro, mentre la perentoria staticità dell'albero si fa paradigma di quel sostegno di cui non si può fare a meno die­tro cui ci si nasconde o ci si maschera per difendersi da una realtà troppo cruda per essere accettata senza protezioni. L'albero è come la vita, inafferrabile e definibile solo nei contorni che la delimitano ma non la riempiono, percepibile solo per contrapposizione e contrasto e mai nella sua completezza.

Il lavoro di Piccioni è concepito come un racconto, scandito secondo singole storie, in una linearità descrittiva che oltrepassi le meschinità degli stereotipi rappresentativi e vada direttamente alla realtà del fatto. L'intento narrativo nasce ancora una volta da un'esigenza sopravvenuta a posteriori, scaturita dallo spirito di semplicità e chiarezza che l'artista sente come proprio in questa fase piena e consapevole del proprio operare. E' come un ritorno all'origine, all'essenza creativa del fare arte scevra di ogni cerebra­lismo fuorviante. L'opera è, esiste de factu e vive vita propria, ma è anche opera dell'artista che sente il piacere di "fare", di manipolare la materia e plasmarla secondo un ordine soggettivo. La soddisfazione dell'opera come "artefatto" manuale è da sempre l'orgoglio di Piccioni, che ha modo di stemperarvi il proprio temperamento energico e vitale. Le ombre, che a volte completano i suoi lavori, esprimono bene questa "fattualità", data la loro difficoltosa ed impegnativa realizzazione. Anch'esse nate nell'idea di espansione e di invadenza dello spazio rappresentativo, hanno successivamente partecipato del carattere polisemantico assunto da tutta l'opera. In contrapposizione all'albero, che è cosa concreta e reale, l'ombra, che al contrario è quanto di più impalpabile e variabile ci sia, diviene qualcosa di ben definito e solido, acquistando consistenza e "peso", così come ciò che a volte sembra sfumato e incorporeo assume in un'altra pro­spettiva rilevanza e spessore.

Sempre nell'ottica di un mutuo scambio di valori, il colore assume importanza fondamentale: nella gioiosa e ignea colorazione di queste riflessive e meditate composizioni esplode la passionalità dell'artista e l'immediata espressività cromatica si rende protagonista assoluta. Nel momento in cui una naturale saggezza ha portato l'istinto a soggiacere apparentemente alla ragione regolatrice, è possibile ancora più di prima notare il giusto grado che per l'artista hanno i sentimenti e le emozioni, al di li di ogni assen­nata considerazione.

Marzo 1995

                                                                                                                           Laura Monaldi

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Presentazione in catalogo per la mostra presso la Galleria "Sumithra" di Ravenna (1995).

 

 

 

 

 


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